Dal red carpet al red devil…

Dal red carpet al red devil…

(foto da corriere.it)

1 luglio 2017

Circa tre mesi fa avevo postato una riflessione sulla “modalità da stadio” che accompagna il dibattito politico, prendendo spunto dalle vicende di Pizzarotti e Paolo Putti e dal fatto che, per entrambi, ai fini della visibilità mediatica, fosse stato più importante essersi messi in una posizione “contro” piuttosto che per i contenuti, peraltro degni di grande considerazione, delle loro posizioni politiche (e feci un parallelo con un famoso gol di mano di Maradona, irregolare, ma salutato con entusiasmo perché era stato realizzato “contro” i nemici inglesi…)
Così scrivevo: 

“Ormai il dibattito politico, quello che va a scandagliare i contenuti, non c’è più.
C’è, come nella tifoseria sportiva (calcistica in particolare), l’appartenenza ad uno schieramento, da una parte o dall’altra, senza se e senza ma…
E per l’elettorato non esiste più la “memoria”, si può dire tutto, il contrario di tutto, che non conta più nulla…tanto si vota pro o contro qualcuno, a prescindere…
un cliché che è uno dei segni più negativi del contesto in cui viviamo, che viene spesso stigmatizzato dai media che però spesso contribuiscono non poco ad alimentarlo, promuovendo o ignorando figure politiche non in base a quello che fanno ma in base a “per chi” o “contro chi” lo fanno…
Per molta parte dell’elettorato il fatto di potersi (o doversi) schierare è così netto che i propri beniamini possono commettere tutte le nefandezze (o presunte tali) possibili che il risultato (in termini di voto) non cambia…come allo stadio…puoi anche aver segnato un gol con la mano, in barba a tutte le regole, che chissenefrega, l’importante è che vinca “la mia squadra”…ecco, il dibattito politico oggi può trovare la sua più naturale collocazione non nei luoghi di discussione ma sugli spalti di uno stadio…anzi, a guardarlo bene, mi pare proprio l’ultimo stadio…

Come precisai, in coda al mio post (link) il mio “pensiero” venne male interpretato e vabbé, chissenefrega…

Oggi, leggendo l’articolo di Roberto Onofrio sulle polemiche per il red carpet, mi è venuto in mente quel post sulla discussione in “modalità stadio”…
Credo che l’operazione red carpet sia stata assolutamente brillante, ha portato la Liguria al centro dell’attenzione mediatica (anche oltreoceano) ad un costo veramente irrisorio in rapporto al risultato ottenuto (e se qualcuno ha erogato i fondi necessari in modo non corretto, sarà chi di dovere a valutarlo ed a prendere le misure necessarie; qui è “in discussione” la bontà dell’operazione).
Sulla questione è però arrivato, a gamba tesa (giusto per restare in “modalità stadio”), il clima avvelenato della campagna elettorale e, sia da una parte che dall’altra, a prevalere non è stata la valutazione sulla bontà o meno dell’operazione ma, come ormai d’abitudine, insopportabile, lo schieramento a prescindere…la demonizzazione da una parte, la propaganda dall’altra…

giusto per fugare ogni sospetto di mio “schieramento a prescindere”, un paio d’anni fa la giunta regionale di centrosinistra stanziò due milioni di euro per l’inserimento della Liguria nel grande palcoscenico mediatico del Giro d’Italia, ed anche in quell’occasione nel mio piccolo spezzai pubblicamente una lancia a favore di questa scelta, il cui rapporto costi-benefici mi sembrava assolutamente favorevole (e così fu in termini di audience).  
Certo, questa del red carpet è stata, al confronto, una “genialata”…

Roberto Onofrio fa un’analisi molto precisa, assolutamente (per me) condivisibile.
Il pezzo, per quanto lungo, lo si legge molto piacevolmente.

Per comodità di chi legge è riportato qui di seguito. 

 

(link all’articolo)

 

(Roberto Onofrio per “Il Secolo XIX”)

L’insostenibile pesantezza della politica in lite su tutto
SE SUL RED CARPET VOLANO GLI STRACCI

IL MALE OSCURO
L’Italia è ormai divorata dall’incapacità di discutere pacatamente di qualunque tema appartenga alla res publica e non solo

IL LIVORE ELETTORALE
La contesa ha svuotato il senso di un’iniziativa tanto demonizzata da una parte e troppo usata come propaganda dall’altra

 

IL “RED CARPET”, già steso tra Rapallo e Portofino, farà adesso la sua comparsa anche tra Levanto, Bonassola e Framura. Questa volta, almeno per il momento, forse perché l’effetto elezioni sta svanendo, i toni degli amministratori sono più rilassati.
Giorgio Bernardin, sindaco di Bonassola, eletto in una lista civica, commenta positivamente l’iniziativa #LamialiguriapromossadallaRegione, che porterà iltappeto rosso anche sulla pista ciclopedonale “Mare e monti” che collega Levanto, Bonassola e Framura, per accogliere in modo originale e suggestivo i turisti in visita nei tre borghi rivieraschi.

La pista ciclopedonale ricavata con la riqualificazione delle ex gallerie ferroviarie e aperta al pubblico nel 2011, si snoda lungo 5,5 chilometri percorribili a piedi in un’ora e in circa 20 minuti in bicicletta. Proprio come nelle località del Tigullio, anche nella Riviera spezzina sarà possibile camminare sul tappeto rosso senza interruzioni, in una passeggiata che offre in diversi punti scorci panoramici mozzafiato.

Ora che i veleni della campagna elettorale si possono lasciare decantare, potrebbe essere utile riflettere per un momento (solo un momento, non si tema) su un aspetto paradigmatico del male oscuro che sta divorando l’Italia, in ogni sua piega, in ogni sua manifestazione. Il tema è l’incapacità politica di discutere pacatamente, lucidamente, di qualunque argomento appartenga alla res publica e non solo a quella. Esemplare è lo spunto che ha offerto, in Liguria, il caso del red carpet.

Il “tappeto rosso” è stato oggetto, nelle scorse settimane, di un’iniziativa promossa dalla Regione Liguria, appunto. Il governatore Giovanni Toti ha pensato di stendere il red carpet più lungo del mondo tra Rapallo e Portofino, volendo così scandire un percorso straordinario per Io sguardo dei turisti. Un’idea semplice, peraltro adottata con successo anche in altre parti del mondo, ed efficace. Ha colpito l’immaginazione dei media nazionali, anche per il Guinness dei primati, che suscita sempre interesse e curiosità. E complessivamente piaciuta.

Ha attirato attenzione e persone. Ma ha inevitabilmente anche mostrato il suo lato debole: Toti ha promosso il red carpet in un momento e in un contesto già condizionato dall’imminente campagna elettorale per le amministrative. È tutta propaganda, si è cominciato a dire, dalle parti del centrosinistra. Di più. Quando la contesa si è scaldata in prossimità del voto e, subito dopo, in vista del ballottaggio, sono state mosse violente critiche al modo in cui il red carpet tra Rapallo e Portofino è stato finanziato. Ovvero, attraverso Liguria Digitale, società della Regione il cui amministratore delegato, Marco Bucci, era nel frattempo diventato candidato sindaco del centrodestra, a Genova.

Da quel momento, il red carpet ha perso le caratteristiche originarie. E’ diventato, per il centrosinistra, il red devil, il diavolo rosso da combattere e sconfiggere in qualunque angolo si fosse di lì in avanti presentato.

E così, per contrapposizione, il centrodestra ha volutamente giocato sul tema, usandolo davvero come uno strumento di propaganda e di provocazione politica. Visto che è diventato così temuto dalla sinistra, Toti ha cominciato ad agitare la minaccia del red carpet, insinuandolo quasi fosse un drago, ovunque: «Dopo Rapallo lo metteremo lungo la passeggiata di Nervi», ha detto.
«Giammai!», ha replicato secco il sindaco di Genova Marco Doria, che avrebbe dovuto eventualmente consentire lo srotolamento in zona.
«Lo replicheremo in altri 50 Comuni della Liguria!», ha rilanciato Toti. E subito diversi sindaci di centrosinistra hanno cominciato ad alzare i muri: «Da noi, no! Giammai!».

Com’è finita la contesa elettorale, a Genova, si sa: Bucci ha vinto. E Toti ne ha subito approfittato: «Ora stenderemo il red carpet dal palazzo della Regione a Palazzo Tursi», quasi a sottolineare non solo la “presa” storica del Comune, tradizionalmente rosso come il tappeto che si vuole ora stendere, ma anche il filo, anche questo rosso, che lega indissolubilmente, sin dagli albori della sua candidatura, i destini politici di Marco Bucci e del suo nume tutelare, Giovanni Toti.

Tutto forse molto divertente, per qualcuno. Il problema è che il senso positivo del red carpet, la filosofia che ha ispirato chi Io ha adottato nel resto del mondo, si sono completamente dissolti nel livore che ha inacidito il duello elettorale. Grazie a questo giochino al massacro una bella iniziativa è stata così tanto demonizzata da una parte e troppo usata come propaganda dall’altra, da restare pietrificata e dunque svuotata di ogni sfumatura gradevole, restando soltanto più un vessillo da abbattere o da impugnare.

Purtroppo, il red carpet è solo la cifra, per molti aspetti insignificante, di una questione molto più ampia e più profonda che investe il dibattito politico oggi in Italia.

Gli argomenti sono diventati immancabilmente delle clavi, funzionali solo a eccitare gli animi, senza curarsi delle conseguenze, che comunque sono quelle che invariabilmente appiattiscono qualunque tipo di elaborazione mentale.

Il concetto del red carpet, in sé, è sano, ma nessuno dimostra di avere l’onestà intellettuale di ammetterlo perché è diventato un’altra cosa.

Il red carpet è il diavolo, da qualunque punto di vista lo si osservi. Succede così, ormai, per ogni tema che impone l’attualità e che viene adottato o respinto solo in funzione del consenso che può o meno generare.

I vertici nazionali dei partiti e dei movimenti e le nomenklature più locali non stanno facendo nulla per invertire questa tendenza, ma anzi contribuiscono ogni giorno ad alimentarla.
La politica sana dovrebbe insegnare ai cittadini schierati su opposte fazioni che la realtà è ricca di sfumature che vanno armonizzate e dovrebbe indicare le strade più equilibrate per raggiungere l’obiettivo.

La rappresentazione a cui oggi siamo costretti ad assistere, invece, è quella che ci propina un’eterna, conflittuale animosità da saloon.
Prevale solo la voglia di litigare, dileggiare, provocare.

Una volta, forse, questo format da talk show a caccia di audience riusciva a incuriosire.

Adesso fa solo tristezza. E, quel che è peggio, aiuta a stendere il red carpet lungo una via che trascinerà solo verso stordite vacuità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *